di Giovanni Manisi
Le terre che attraversiamo navigando lungo il fiume Lemene sono in gran parte state conquistate dalle opere della bonifica. Canali, case coloniche disposte in maniera regolare e idrovore presenti ovunque sono segni inequivocabili di questa epoca. Le prime ambiziose opere iniziarono quando i veneziani diedero l’avvio all’acquisizione di vaste aree nell’entroterra in conseguenza del progressivo venire meno delle attività mercantili con l’oriente da parte della Serenissima Repubblica di Venezia.
Tra i veneziani che per primi diedero avvio alle attività di bonifica ci furono i Mocenigo che tra il 1648 ed il 1668 liberano le terre dalle acque da Fratta alle lagune. Qui Alvise Mocenigo diede vita al suo sogno illuminista di una città perfetta, Alvisopoli. Una città la cui economia era prevalentemente agraria, con una visione industriale della terra. Un sogno che però durò poco, infrantosi con la scomparsa di Alvise nel 1815 e una serie di sventure tra cui alluvioni, carestie, epidemie. L’esperienza di Alvisopoli restò a lungo un modello illuministico da seguire nella costruzione di società agrarie da creare dal nulla, strappando la terra alle acque e creando società autonome. Nel 1718 lo seguirono i nobili veneziani Cottoni e Corniani e nel 1951 arrivarono le Assicurazioni Generali, tuttora proprietarie della tenuta di Ca’ Corniani.
Ma la bonifica vera e propria nel Veneto Orientale inizia dal primo decennio dell’Unità d’Italia, periodo in cui in materia d’agricoltura vennero emanate diverse leggi con il fine di affrontare le aree paludose, rendere queste zone più salubri debellando la malaria e creare nuova occupazione e ricchezza coltivando le nuove, fertili terre ed alla risoluzione di quello che era un vero assillo a qual tempo: la realizzazione del progresso.È anche il periodo in cui si affermano nuove tecniche di bonifica: nel 1835 si assiste alla nascita della prima macchina idraulica a vapore che, se pur si risolse in un fallimento, diede il via ad una frenetica attività che dal 1847 portò ad una rapida meccanizzazione delle opere di bonifica.
La modernizzazione si identificava con lo sviluppo della ferrovia e la rete ferroviaria era l’opera che catalizzava il maggior impegno finanziario fino agli anni 1870. Poiché la malaria aveva rallentato la costruzione delle ferrovie in diversi punti, crebbe l’interesse per le opere di bonifica con il doppio obiettivo di lotta igienico sanitaria e di creare occupazione in ampie aree disabitate e paludose. Nel 1907 fu istituito il Magistrato alle acque ma, nonostante l’evoluzione tecnica e gli sforzi economici la malaria rimase una piaga anche nel decennio successivo. Intanto nella nostra zona si segnalano i cantieri di San Stino, Concordia, Cinto, Caorle, Fossalta, San Michele e Portogruaro. Il più noto degli imprenditori agrari dell’epoca fu Giovanni Stucky, l’imprenditore famoso per i suoi mulini a Venezia, artefice della tenuta di Villanova-Torresella, che passerà in seguito nelle mani di Gaetano Marzotto.
Nel 1912 inizia a farsi strada il concetto di bonifica integrale, che prevedeva l’obbligo, dopo l’esecuzione delle opere idriche, di recuperare i terreni all’agricoltura. Ma fu con l’avvento al governo del Partito Nazionale Fascista che assunse maggior concretezza il concetto di bonifica integrale. La lotta per la bonifica divenne nella propaganda mussoliniana la “guerra alle acque” con cui si puntava a recuperare propagandisticamente all’agricoltura circa 8 milioni di ettari, che rappresentavano un terzo di tutta la superficie agricola e forestale del Regno!
A partire dal 1932 furono costituiti i consorzi di bonifica e i consorzi di miglioramento fondiario. Ma le strutture che la propaganda voleva a servizio del popolo erano spesso inutilizzate per contenere la spesa, così come anche la situazione igienico sanitaria era ben lontana dall’essere quanto mano accettabile. Le bonifiche di quest’epoca, insomma, furono per gran parte operazioni soggette alle speculazioni delle grandi aziende, dei consorzi e degli enti pubblici. E non furono del tutto completate.
Ecco che i braccianti diventano emigranti in missione di bonifica verso l’agro pontino e verso le nuove terre dell’impero italiano in Africa.Poi arrivò la Seconda guerra mondiale, che non solo frenò, ma portò gravi danni alle opere di bonifica. Nel secondo dopoguerra, grazie ai fondi del Piano Marshall e della Cassa per il Mezzogiorno, la bonifica riprende assumendo le caratteristiche di un ammortizzatore sociale fino alla metà degli anni ’60. Ma ora questo angolo di Veneto che ha visto crescere così velocemente la sua popolazione per costruire la sua terra, la meccanizzazione in agricoltura condanna all’emigrazione.