di Zeno Saracino
Suggestioni giapponesi nel Veneto. Il paragone sorge spontaneo quando lo sguardo coglie per la prima volta la sagoma del faro di Punta Sabbioni. Situato sulla punta sud ovest del litorale di Cavallino- Treporti il faro ‘saluta’ le imbarcazioni dirette verso la laguna di Venezia. Se le classiche forme di un Faro ricalcano una torre o un parallelepipedo, Punta Sabbioni si presenta con forme organiche, quasi naturali nella geografia del luogo. Si tratterebbe di un faro, con gusto paradossale, a suo agio in un giardino zen, in quanto ricorda con chiarezza una pagoda multipiano. Presente all’estremo lembo della diga che circoscrive, a nord est, Venezia Lido, il Faro ha un’ossatura di cemento armato di circa 26 metri, colorata di giallo; la parte rivolta verso l’acqua ha due differenti terrazzi dipinti con grandi scacchi bianchi e neri.
La forma bombata, quasi una cupola, assomiglia alle pagode dell’estremo oriente. Se la struttura viene osservata dal fronte mare può ricordare, complici gli alberi di antenne e metallo sulla sommità, la prua di una moderna nave, magari a scopo militare. Si tratterebbe, in quest’ultimo caso, di un involontario sovrapporsi di intenti; casuale, ma significativo della storia del luogo. L’inizio dei cantieri della pagoda di Punta Sabbioni risale infatti al 1882; un primo faro funzionante illuminava il mare ai naviganti due decenni più tardi, nel 1910. A seguito dell’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale, anche la zona del faro di Punta Sabbioni venne travolta dalle ondate del conflitto in corso. A seguito dello sfondamento di Caporetto, nel 1917, la cavalleria dell’Austria-Ungheria irruppe fino a Caposile, a Jesolo (all’epoca nota come Cavazuccherina) e a Cortellazzo. Dapprima Venezia, poi la pianura padana venivano considerate terreno di conquista dagli Asburgo. I luoghi dove sfondare in via definitiva il fronte e garantire la sconfitta definitiva del regno d’Italia.
Proprio la zona di Cavallino- Treporti si trasformò invece nella parte anteriore del fronte; gigantesco deposito logistico, materiale, umano per i soldati italiani. Un serbatoio volto ad alimentare di provviste, munizioni e uomini il carnaio del fronte tra il 1917-18. La zona si popolò con rapidità di porti militari, l’intera laguna fu pesantemente militarizzata. Le batterie di artiglieria Vettor Pisani, San Marco, Radaelli e Amalfi puntavano le bocche dei cannoni verso l’invasore in marcia, la zona formicolava di soldati e rifornimenti. Il faro di Punta Sabbioni, nel suo piccolo, era a propria volta un’infrastruttura strategica; dalla costruzione del primo faro della storia, dai fenici ad oggi, queste strutture hanno sempre avuto un’intrinseca funzione militare. Passeggiando alla pinacoteca del Museo Centrale del Risorgimento di Roma proprio Cavallino – Treporti compare, coi suoi fari di Piave Vecchia e Punta Sabbioni, tra i soggetti ritratti. Non si tratta di acquerelli pacifici, ma di quadri e ritratti realizzati dagli artisti al fronte; soldati che, accantonato il fucile nelle pause tra i combattimenti, imbracciavano il pennello. Due esempi, tra i tanti, visibili dal Veneto al Lazio: Anselmo Bucci e Giulio Aristide Sartorio. Ritornando alla ‘pagoda’ di Punta Sabbioni, questa fu poi modernizzata nel 1969. La mareggiata del novembre 1966 aveva infatti compiuto quanto non era riuscito ai due conflitti mondiali, danneggiando l’infrastruttura. Il faro venne così elettrificato; e si aggiunse quel piccolo caseggiato a lato, costituito dalla cabina di trasformazione. Il faro venne infine automatizzato nel 1974; e da quell’anno in poi continua a garantire un potente segnale luminoso a 15 miglia di distanza.
Ma perchè il nome di Punta Sabbioni? Frazione del comune di Cavallino- Treporti, la Punta si trova a poche decine di chilometri da Venezia per via acquea; ne è (quasi) una parte. Non è un caso che, prima della nascita di Cavallino- Treporti a livello comunale, Punta Sabbioni era parte del Comune di Venezia. Sotto il profilo geologico la spiaggia davanti al Faro continua ad accumulare sabbia, sottraendo profondità ai fondali e vanificando la funzione della diga. Conseguenze morfologiche sulle quali sarà, nel futuro, opportuno riflettere a fronte della funzione del faro di avvisaglia per le imbarcazioni di passaggio.