La laguna di Caorle, punto strategico per la pesca durante la tarda età del bronzo

di Giovanni Manisi


I ritrovamenti nella frazione di San Gaetano di reperti databili alla tarda età del bronzo dimostrano che la Laguna di Caorle degli insediamenti di popolazioni paleovenete. Tuttavia le prime fonti storiche risalgono all’XI secolo, quando è reso noto che le acque circostanti all’isola di Caorle erano date in concessione dalla Repubblica di Venezia agli abitanti per le attività di caccia e pesca sotto il pagamento di una somma annuale al doge. Il sostentamento degli abitanti della piccola isola di Caorle è da sempre legato alla pesca nei territori lagunari. Si comprende quindi come il decreto della Serenissima del 29 agosto 1642, il quale confiscava l’intero territorio della laguna di Caorle (suddiviso in venti «prese») per venderlo a nobili veneziani e ricavarne fondi per finanziare la deviazione del corso del fiume Piave sia ricordato come uno degli eventi più tragici della sua storia. 

A quel periodo risale infatti il solenne voto fatto dalla popolazione alla loro Madonna dell’Angelo affinché fosse scongiurato quel pericolo e i caorlotti potessero continuare a sostenersi con la pesca in laguna. La preghiera fu esaudita nel 1741 quando, dopo aver venduto molte prese, la Repubblica riservò la sedicesima (corrispondente alle attuali valli Zignago e Perera) ai cittadini di Caorle, i quali la utilizzarono per continuare l’attività di pesca. A memoria di quel voto ancora oggi la seconda domenica del mese di luglio si celebra una solenne festa in onore della Madonna.

La laguna era quindi ritenuta il luogo privilegiato per la pesca: non era pericolosa come il mare ed era molto pescosa. Proprio per muoversi agilmente in quelle acque dai fondali particolarmente bassi, ha origine da queste zone un’imbarcazione, la Caorlina, caratterizzata da un fondale piatto e da un’ampia stiva, che permetteva ai pescatori di trasportare generi di prima necessità e di dormire a bordo.  Infatti i pescatori di Caorle fino agli anni ‘60 del secolo scorso, lasciavano le loro case nel capoluogo all’inizio del mese di settembre per recarsi, nel periodo chiamato in dialetto Fraìma, in laguna per la pesca, alloggiando nei cosiddetti “Casoni”, pittoresche quanto spartane abitazioni costruite con canne palustri intrecciate.

Oggi la laguna di Caorle si presenta suddivisa in sei Valli (dal latino “vallum”, cioè argine, terrapieno).
La più grande – si estende per circa 8 chilometri quadrati – è Valle Zignago, che è anche la più lontana dal mare ed è adibita all’agricoltura e all’allevamento ittico. C’è poi Valle Perera, la parte più piccola della laguna, ampia circa 1.5 chilometri quadrati, situata a sud della Valle Zignago, con la quale formava la sedicesima presa, cioè la parte della laguna che la Serenissima aveva riservato agli abitanti di Caorle. Quindi Valle Grande, detta anche Valle Franchetti, poiché dall’inizio del novecento e fino agli anni sessanta del secolo scorso fu proprietà della famiglia del barone Raimondo Franchetti. Estesa circa 6 chilometri quadrati e conserva, a differenza delle precedenti, l’originario ambiente palustre.

È qui che Ernest Hemingway si recò più volte, nel periodo tra il 1948 e il 1954, ospite del barone Raimondo Nanuk Franchetti, dedicandosi alla caccia all’anatra, maturando le idee che portarono alla stesura del romanzo Di là dal fiume e tra gli alberi, in cui compariranno pagine memorabili che descrivono la caccia in valle ed il paesaggio circostante. Ci sono poi Vallenova, con un’estensione di circa 6 chilometri quadrati, caratterizzata da un ambiente salmastro; Vallegrande e Vallesina di Bibione, le due valli che si trovano oggi nel territorio del comune di San Michele al Tagliamento, visibili arrivando a Bibione, con un’estensione complessiva di circa 5 chilometri quadrati. Infine c’è Vallevecchia, nella quale è stata ricavata un’oasi di circa 1.5 chilometri quadrati, caratterizzata da un ambiente palustre e da lidi sabbiosi – la famosa Spiaggia della Brussa – grazie elle bonifiche degli anni sessanta.

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