Burci, bragossi e batee

di Giovanni Manisi

Le attività della vita fluviale e lagunare hanno sempre gravitato attorno alla barca, un bene di grande valore. E come a Venezia, anche a Portogruaro le barche si legavano (tecnicamente si dice ormeggiavano) alla soglia di casa, sul lato del fiume, come si faceva con i cavalli. La barca serviva come mezzo di trasporto; per andare a pesca come per andare a caccia. Con il passare del tempo questa tradizione si è persa, in particolare dal secondo dopoguerra c’è stato un rapidissimo declino della navigazione fluviale e lagunare. Nel tempo le imbarcazioni fluviali e lagunari ebbero molte trasformazioni, in particolare dettate dalla specificità dell’ambiente in cui operavano. Ma due cose le ha sempre contraddistinte: il materiale di costruzione, che era sempre il legno e il fatto di avere il fondo piatto. Quest’ultimo elemento permetteva loro di muoversi anche in fondali profondi solo trenta, quaranta centimetri e di poter scivolare sul fondo melmoso quando finivano in secca.Un’altra particolarità era data dall’avere una parte a prua coperta, per poter riporre reti da pesca, il pescato ed eventuali vettovaglie. Nel caso delle imbarcazioni più grandi, come i burci, in questa parte dormivano anche i barcari.

La propulsione è principalmente a remi. In queste zone, come nelle altre lagune e valli del nordest, si usano due remi incrociati per la voga, ed è per questo detta proprio voga alla vallesana. A volte, in fondali particolarmente bassi, per sospingere le barche, si usano delle paline. Quasi tutte le imbarcazioni fluviali e lagunari, comunque, possono essere mosse da una vela, chiamata vela al terzo, di forma trapezoidale, che prende il suo nome dalla posizione in cui incrocia l’albero. Nel caso dei burci, si usava anche il traino, tecnica che consisteva nel trainare la barca con delle funi per mezzo di animali come cavalli, buoi o asini, o addirittura da uomini, con un servizio che veniva fornito in affitto. Una rappresentazione di questo lavoro disumano ci viene rappresentata nel dipinto del pittore veneziano Cagnaccio da San Pietro “L’Alzana” del 1926 che mostra proprio un burcio trascinato da due uomini. I tipi di barche usate nei nostri fiumi e lagune erano molte. Oggi molte sono scomparse ed alcune sono state salvate dalla scomparsa grazie a manifestazioni tradizionali come la famosa Vogalonga e varie altre regate.

La tradizione deriva in genere dalla marineria di Venezia e di Chioggia, con alcune rare eccezioni come nel caso della caorlina, elegante imbarcazione nata a Caorle. Lasciando stare le imbarcazioni che, pur famosissime come la gondola, non appartengono alla tradizione delle nostre zone, va certamente menzionato il sàndolo. Si tratta di una delle più diffuse imbarcazioni lagunari, di misura compresa tra i 5 e i 9 metri e dall’aspetto snello ed elegante. ha l’asta di prua rettilinea inclinata in avanti e la poppa a specchio. Vi sono moltissime varianti per adattarlo ai più svariati impieghi, dalla pesca (sàndolo a la ciosòta,sàndolo buranèlo, sàndolo sampieròto), al diporto e regata (mascaréta, puparìn), dedicato
specificamente alla caccia (sciopòn), al trasporto di persone (sandolo da barcariol), solo per citarne alcuni.

Lungo il Lemene si sentirà spesso parlare della batèa, nome generico che si dà a molte
specie di scafi, in questo caso designa un’imbarcazione in legno, a fondo piatto. Spesso si tratta
di un sandalo sanpieroto o piuttosto di una sanpieròta, imbarcazione più bassa e larga e meno
elegante di un sàndalo ma molto robusta, stabile e versatile e che si possono condurre a remi, a
vela o a motore. Ecco perché questa barca sopravvive ancora oggi come barca da lavoro. l bùrchio o bùrcio è una grossa imbarcazione da carico in uso nella laguna di Venezia e lungo i fiumi e canali. Si tratta di un battello tozzo e panciuto, di lunghezza variabile tra i 20 e i 35 metri dal fondo piatto. Realizzato tradizionalmente in legno, è riconoscibile dalla caratteristica prua a punta rialzata. È dotato di due alberi, uno a prua e l’altro a poppa, con velatura al terzo e viene manovrato tramite un timone a barra situato al centro della poppa.

Oltre alla propulsione a vela, viene spinto da remi o grosse pertiche. In passato era anche trainato da argani o funi nei tratti fluviali appositamente attrezzati, mentre tra le due guerre iniziano ad essere spinti da motori diesel. Per secoli è stata l’imbarcazione di trasporto merci più utilizzata per il traffico fluviale e lagunare. Oggi i burci sono quasi completamente andati distrutti e per rendersi conto dell’aspetto e delle dimensioni di questi imponenti mezzi di trasporto fluviale è sicuramente interessante una visita al Cimitero dei Burci, un particolarissimo e suggestivo sito situato nel comune di Casier, in provincia di Treviso, in un’ansa del fiume Sile, all’interno del Parco naturale regionale del fiume Sile. Qui giacciono una ventina di relitti di burci di varie tipologie e dimensioni, parzialmente coperti di terra e fango, accarezzati dall’acqua e avvolti dalla vegetazione, come se la natura volesse riappropriarsi di quel legno abbandonato dall’uomo.

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