di Zeno Saracino
I fari rappresentano un’infrastruttura dalla duplice funzione: salvaguardano le navi dallo schiantarsi sugli scogli e come tali svolgono una funzione commerciale, proteggendo i navigli; ma rimangono al tempo stesso un elemento militare, punteggiando il territorio di una nazione. In questo contesto non deve sorprendere come inizialmente la costruzione dei “fanali marittimi” nell’area dall’odierna Istria, alla Venezia Giulia, al Veneto orientale fosse stata commissionata dalla Deputazione di Borsa di Trieste. L’architetto Pietro Nobile, preposto alla Direzione delle Fabbriche del Litorale, ricevette l’incarico di costruire il faro di Salvore, il primo del Mediterraneo a utilizzare l’illuminazione a gas (17 aprile 1818). Nel giro di quarant’anni la Deputazione disseminò di fari le coste dell’Adriatico “austriaco”: rimane celebre il faro della Lanterna di Trieste (1833), ma nella realtà tutte le coste vennero disseminate di fanali, Veneto compreso. La Deputazione costruì infatti nel 1855 i “fanali” di Spignon e Rocchetta a Malamocco e nel 1863 l’ultimo faro veneziano, a Chioggia. Dopo la terza guerra d’indipendenza (1866) la funzione militare subentrò a quella commerciale e la costruzione dei futuri fari passò al Governo Marittimo di Trieste; i quattro fari veneziani divennero invece proprietà del Regno d’Italia.
Nell’ambito delle visuali offerte dal GiroLagune, nel caso di Piave Vecchia, offre l’esempio di un faro costruito costruito dal governo austriaco, risalendo infatti al 1845. Si trattava di un’iniziativa militare, in quanto il mare Adriatico richiedeva per il passaggio della flotta un’ampia rete di ‘fanali’ marittimi. Il faro di Piave Vecchia è infatti collocato sulla foce del fiume Sile, oggi nota come “porto di Piave Vecchia”, nel comune di Cavallino- Treporti. Il fanale dunque guarda il mar Adriatico alla coincidenza tra il comune di Jesolo e di Cavallino. La zona di Piave Vecchia, nonostante un’apparenza ancestrale, in realtà rappresenta una creazione artificiale: era l’antico alveo del fiume Piave, allagato nel Seicento dalla Repubblica di Venezia per limitare le continue alluvioni e allontanare il fiume “sacro alla patria” dalla laguna. Come avvenuto con Punta Sabbioni, nel caso del faro di Piave Vecchia la prima guerra mondiale portò importanti cambiamenti. L’interno della struttura venne riciclato quale colombaia della Terza Armata del Regio Esercito italiano; qui partivano e giungevano i piccioni viaggiatori che recavano le ultime notizie dal fronte.Dal novembre 1917 il faro venne utilizzato come punto di partenza e, con la palazzina vicino, di alloggio per gli equipaggi dei siluranti MAS della Base Faro Cavallino. Si trattava dei Motoscafo Anti Sommergibili che affonderanno, verso la fine della Grande Guerra, le corazzate austriache Wien e Szent Istvan grazie all’azione del tenente di vascello Luigi Rizzo.
Il faro si presenta con le più classiche forme di un fanale marittimo: un cilindro dipinto a fasce bianche e nere, dall’altezza di 48 metri. Una scala a chiocciola formata da 243 gradini in pietra d’Istria permettono di giungere alla sommità; il segnale luminoso raggiunge le 18 miglia di distanza. L’esercito tedesco lo distrusse durante la seconda guerra mondiale, ma già tra il 1949 e il 1951 venne ricostruito dal Genio Civile di Venezia. Secondo le fonti del periodo il faro venne ricostruito “dov’era e com’era” con caratteristiche di “radiofaro”. È lecito dunque presupporre che l’originale faro austriaco risultasse molto simile nelle forme e nella colorazione. Probabilmente l’elemento maggiormente straniante risulterebbe, per un osservatore del passato, la presenza delle spiagge turistiche di Jesolo con annessi campeggi. Il faro dal 2004 viene utilizzato, a seguito di alcuni lavori di ammodernamento, come sede della Guardia Costiera di Jesolo; due anni dopo, nel 2006, l’omonimo ufficio è stato elevato a “Circomare” con Decreto del Presidente della Repubblica del 1/02/2006 n. 89.Un restauro avvenuto nel 2018 lo ha ulteriormente confermato quale punto paesaggistico certamente peculiare, un bell’esempio di archeologia industriale che mantiene però un’utilità pratica.